Un esodato in attesa di giudizio, in tempi in cui la giustizia, non solo del welfare, viene del tutto disattesa, è costretto a lasciare la locazione cittadina per uno sfratto esecutivo. Avvalendosi d’una buonuscita e di qualche risparmio, pur di provvedere un tetto alla famiglia, acquista una bicocca fatiscente lungo un litorale afflitto da abusivismo intensivo. Ben presto costretto a interventi laboriosi per evitare crolli e inondazioni, l’imperizia dell’impresa vanificandogli anche il progetto di ricavare qualche spicciolo dal luogo ristrutturato nell’intento di poterlo affittare durante i mesi estivi. Al punto da accogliere come una liberazione l’impegno della nuova municipalità, volto ad abbattere l’insediamento irregolare.
Le vicende del nostro esodato si fanno emblema d’una vastissima categoria di lavoratori costretti, dalle sopravvenute improvvisazioni politico-finanziarie, ad arrangiarsi per sopravvivere tramite le più disparate avventure, spesso al limite d’una pirateria di necessità, emulativa d’una perversa classe politica: alla pari con la subìta sconfitta matrimoniale del protagonista esodato anche dalla famiglia.
Nel romanzo i conflitti vengono illustrati dallo stesso Robinson del Tfr, che in un suo diario gonfio di passioni e deliri espressionisti, scava dal di dentro le vicende d’un eroe negativo dei nostri tempi, oppresso dall’irriducibile crisi finanziaria che gli ha vanificato un’intera vita di lavoro e d’affetti, rivelatisi anch’essi fittizi; quanto la scrittura adoperata per narrarli, priva anch’essa d’un riconoscimento sostanziale.
Carlo Villa, presente da sessant’anni nella nostra letteratura di punta, stimato tra gli altri da Pasolini, Vittorini e Calvino, affronta ancora una volta i paradossi d’una società ripiegata su se stessa, avvalendosi d’un personaggio alla Musil, coscientemente paranoide nell’utilizzare un linguaggio energetico d’altissima vibrazione letteraria, per un auspicato riscatto culturale dell’intero Paese: solo fosse possibile crederci.