Con “Pensieri panici” l’autore de “Il privilegio di essere vivi” prefato mezzo secolo fa da Pasolini e de “La nausea media”, di due anni più tardi col risvolto di Vittorini per la Einaudi, dove rimarrà per numerosi altri titoli, s’aggiudica un’ulteriore puntata d’un suo diario di registri socio-politici a dilatazione paesaggistica personalissima sul vivere d’ogni giorno iniziato con “Agrità”, dedicato non a caso al non meno risentito su “Il lavoro culturale” e “L’integrazione” Luciano Bianciardi.
Un percorso quello di Villa di parole intese come poesia e necessità, per dirla con Daumal, che rinominando il mondo in cui si vive, ci aiuta a capire quello che ci è dentro, data una condizione dello scrivere da troppo ripiegata su se stessa, rispetto alle stagioni attestate nell’appendice del libro dedicata a “L’autore e la critica”, che percorre tempi ben diversi per la disciplina dell’esprimersi attraverso la parola.
Carlo Villa nondimeno ha proseguito nell’impegno, conservando fiducia e responsabilità nel suo laboratorio, e giunto ormai alle estreme energie, dedica questa sua nuova Odissea nello strazio all’autore del “Fahrenheit 451”: quel Ray Bradbury che scomparso di recente segnalava quanto i falò accesi sui libri vitali vengano tuttora attizzati per sistema da una militanza recensoria e accademica pigra e rinunciataria sul destino del libro che salvaguardi ancora lo stile e la visionarietà dello scrivere, rendendo un pessimo servizio al lettore volenteroso di redimersi dalla banalità dei centoni a strascico commerciale.
Un titolo questo di Villa organizzato su una scrittura ancora in vita, quasi a messaggio in una bottiglia che inspiegabilmente rimarrà ancora una volta sigillata, nessuno dei non pochi addetti ai lavori raggiunti mostrando d’avere tempo e voglia d’infrangerne il sigillo, decifrando la densità vivificante del suo contenuto, al di là d’un’ordine del morso e turno della beccata, utilizzando professionalmente “L’impiego del tempo” a disposizione.
Pensieri panici dipana in lasse avvolgenti quanto ci va devastando, occupandosi dell’energia atomica contrabbandata per benefica fin dai misfatti di Cuba, percorrendo quelli d’un Afghanistan falcidiata negli uomini e nelle risorse anche nostre. Grande spazio è destinato alle commemorazioni e ai ricordi vissuti con Gadda, Zanzotto, Meneghello, Bertolucci intrecciati a libri e a film rivisitati in strazianti percorsi attualissimi. Gran parte vi hanno ménage irreparabili, quanto gli struggimenti per una luna a interpunzione leopardiana nell’ammantare una plaga marina accudita con la disperazione dovuta a un figlio deforme: la salute cadenzando un po’ tutto in un susseguirsi di diagnosi e di terapie permeate di vibrazioni morali.
Si tratta d’un campionario appassionato che s’avvale di cinquant’anni di impegno espressivo d’un rigore impareggiabile e risentito, alla continua ricerca, rigo dopo rigo, d’un lettore mancante da almeno due generazioni al nostro autore, data una critica raramente altrettanto generosa nell’affrontare una scrittura d’un’unicità rara per come incalza impietosa gli argomenti più vari: soffocata da un destino a dir poco drammatico visti i risultati.